Il mattino di una giornata che sorge lentamente, porta con sè una brezza leggera. Questa brezza arriva sul viso e capisci quanto siano meravigliosi gli elementi che compongono la natura, semplici nella loro unicità. Proprio come un alito di vento primaverile lambisce le orecchie “Il colore del vetro”; brano di apertura dell’album d’esordio della band piemontese, con il suono leggero e rarefatto, sembra quasi voglia entrare in punta di piedi dentro di voi. L’album è una scoperta ascolto dopo ascolto, tutto si schiude con grazia nei ripetuti ascolti dei brani che sono impreziositi da ospiti di grande pregio; La chitarra di Carmelo Pipitone (Marta sui Tubi) e la voce di Naif sulla carezzevole “L’altra metà di me stesso”. In “Muscoli di carta” invece la band si lascia accompagnare da Marco Notari in un guizzo di energia indie-rock, per poi ritornare delicati con l’introspettiva “L’Infezione”: “ma non costringermi a sorridere/non ha più senza questa verità” canta Syria mentre le note del pianoforte si accomodano sui testi amari di un amore ormai incancrenito dall’ incomunicabilità. In “Lacrime e Fango” le sonorità ricordano i primi (affascinanti) Coldplay, con quel senso di malinconia che si appiccica alle dita, pensando (o illudersi di credere) che da qualche altra parte nel mondo ci sia qualcuno che combacia con la nostra metà. C’è molto dei Perturbazione in questi brani, infatti la produzione artistica è di Gigi Giancursi e Cristiano Lo Mele ed in alcuni brani compare Elena Diana al violoncello, mentre la voce di Tommaso Cerasuolo si affianca a Marco Manzella nella sopraccitata “Lacrime e Fango” ed “Il Pittore del mondo”. Ma la caratura della band è notevole anche senza l’ausilio degli artisti che hanno collaborato; basta sentire la bellissima “L’astronauta”, dove i “Disordine” confezionano uno splendido ritratto indie pop da brividi o in “Sottile Ipocrisia” dove un evanescente ricordo di Battisti incontra la luce sonora della band, per dare vita ad un anacronistico malessere interiore dettato da ciò che ormai non si può più cambiare. Mentre ne “L’idiota” si insinua il pensiero che probabilmente il “Presidente” descritto sia colui il quale governa un paese pieno di contraddizioni e inebetito dalle sue televisioni; “Sono bello come il sole/ho il potere su qualsiasi donna e/sulla televisione”. La batteria cadenzata in “Quella sensazione di Comodità”, come un orologio segna il tempo andato e la cognizione di aver perso qualcosa che “brilla nel cielo di qualcun’altro” (come canterebbeVedder in un altro mondo e con diversa attitudine), mentre il pianoforte ed il violoncello tessono una trama musicale dal sapore amaro. Anche in questo brano c’è la sottile presenza di un altro grande cantautore italiano, che non oscura il brano (e la band) con il suo valore; Paolo Benvegnù che durante lo struggente ritornello dona un pezzo della sua anima per il brano più bello dell’album: “Come mai/ora è tutto diverso tra noi/ dove sarai/ tra le braccia di un uomo migliore”. Chiude l’album “Non sono io, sono gli altri” dove sembra di vedere, in un fumoso jazz club, tutta la band, e gli artisti che hanno collaborato, cantare in una session finale prima che il sipario cali e la notte fagociti l’umanità varia che si appresta a tornare a casa, ubriaca d’alcol e di splendide canzoni.
Non è di tutti i giorni sentire un album di debutto così curato nei minimi particolari ed una band con una sensibilità artistica così spiccata da partorire un lavoro maturo e senza sbavature.
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